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      Venisse il giorno dell'ira, e la facesse finita!
      Il lettore discreto ammetterà che fossero molti e gravi i mali di quella povera gente, se il pensiero della sofferenza presente era così forte da farle superare perfino i terrori del finimondo, da farle desiderare il regno dell'Anticristo, con la rispettiva pioggia di fuoco, sotto il cui flagello ricchi e poveri, padroni e servitori, avrebbero perduta egualmente la vita.
      Pure, in quel finimondo che invocava come tanti altri, uno di quei poveri sofferenti avrebbe perduto assai più della vita, o, per dire più esattamente, qualche cosa che gli era più cara della vita. Marbaudo era il suo nome; e ad onta di quel nome, che gli scribi del tempo latinizzavano in Marbotus, Marabotus, l'uomo che lo portava non era d'origine Salica, come potrebbe a prima giunta sembrare.
      Nella povertà onomastica del calendario di allora, e dovendosi pur chiamare in qualche modo la creatura umana assai prima che ottenesse il battesimo (cerimonia fatta allora a lontani periodi, e per molti insieme, anche già avanti negli anni), i nomi personali erano imposti a capriccio, come venivano in mente, per ricordi di esempi vicini, e senza che i genitori pensassero punto a mantenere nel nome del figliuolo la distinzione di schiatta. Così avvenne che intorno al mille avessero nomi goti, longobardi, salici e borgognoni, tanti e tanti figliuoli di sangue italico, che poi, chiamati per alcuna ragione in giudizio, dichiaravano di vivere sotto la legge romana. La dichiarazione della legge sotto cui uno viveva, era a que' tempi la testimonianza più nota della sua origine.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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