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      Le sopracciglia del personaggio erano folte ed ispide, anche spesso corrugate; ma scendeva ad ammorzarne la terribilità castellana il berretto a testiera tonda, con l'ala arrovesciata torno torno, che somigliava abbastanza al cerchio baronale imitato dalla corona dei re merovingi. La statura era vantaggiosa e le membra gagliarde, a cui non istava male il giustacuore di cuoio, mezzo nascosto da una corta zimarra di scarlatto verde, aperta tanto sul petto da lasciar vedere la moneta romana imperiale, che pendeva, simbolo d'autorità, da una catenella d'oro massiccio.
      Vi ho detto che le sopracciglia del fiero uomo si erano spianate, alla vista dì Getruda. Le sue labbra si dischiusero a parole d'insolita cortesia, per rispondere al sorriso della fanciulla.
      - Che fa la bella Getruda? - chiese egli, accostandosi.
      - Tu lo vedi, mio signore; io filo alla conocchia, come porta il mio povero stato.
      - Non lo dire, bella Getruda. È anche delle regine e delle imperatrici il filare, per conforto alla noia delle troppo lunghe giornate.
      - Ma io, ser castellano, non sono imperatrice, nè regina, e filo per la tela di casa.
      - E per il corredo di sposa, non è vero? - replicò Rainerio. - Beato a cui queste bianche mani fileranno la camicia di nozze! -
      Getruda chinò la fronte, arrossendo.
      - Quantunque, - soggiunse egli tosto, avvicinandosi ancora, e parlando sottovoce, - io non ti auguri, o Getruda, di ritrovare un marito, che sarebbe indegno di te. La tua bellezza è troppo grande per questa turba di aldioni; essa è fatta per risplendere in più alto luogo; per comandare, dovunque ella appaia, e non per obbedire, non per dar progenie di servi a figliuoli di servi.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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