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      CAPITOLO IX.
     
      In cui il banditore Scarrone trova gaio il legislatore,
      e l'innamorato Marbaudo trova iniqua la legge.
     
      Lungo la strada di Croceferrea, che di là aveva a passare Scarrone per recarsi a Millesimo, il gaio banditore raggiunse una piccola brigata di contadini, che andavano taciti in fila verso il colmo del poggio.
      Tra essi riconobbe Dodone, che era l'ultimo e andava più lento, a capo chino, e con le mani intrecciate dietro le reni.
      Dalla presenza di Dodone il banditore argomentò facilmente che fosse Ingetruda quella giovane donna, che lo precedeva di pochi passi, raccolta in un lungo mantello di pannolano, il cui lembo superiore le involgeva anche la testa.
      Dodone udì lo scalpitio del cavallo sul ciottolato del sentiero, e si tirò da un lato, contro una siepe di rovi, per lasciar passare il frettoloso cavaliere.
      Ma il banditore non aveva la fretta che il passo della sua cavalcatura accennava. Vide Dodone, e tosto mise il cavallo al passo, per barattare quattro parole col villano.
      - Buon dì, vecchio Dodone! - gli disse. - Si fa per un tratto la medesima strada.
      - Buon dì! - rispose asciuttamente Dodone.
      - Vedi? - ripigliò il banditore, che voleva ad ogni costo discorrere. - Oggi fatichiamo per te e per la tua casa. Gran degnazione è stata quella del conte Anselmo, di pensare alle nozze della tua cara figliuola. -
      Dodone tentennò la testa e borbottò qualche parola, che non giunse chiara all'orecchio del cavaliere.
      - Ed è questa la bella Ingetruda, non è vero? soggiunse il banditore, giungendo a pari della giovane.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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