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      Legge del conte! legge iniqua! Pure, io debbo passare di qua. Voglio Getruda, la bella Getruda, che mi è tanto severa. E perchè severa? Che ambizioni hanno mutato in tal guisa il suo cuore? Pur troppo, io non sono che un povero aldione; ed essa è troppo bella. Una donna bella può giungere a tutto; e l'uomo ha da rimanere incatenato al posto che gli ha assegnato il suo destino. Eppure, qualche volta un uomo forte ed audace.... Ah, sì, se io fossi soldato.... se la fortuna mi arridesse tanto da far guadagnare anche a me il mio lembo di paese.... Ma ecco, io frattanto dovrei lasciare Getruda, e un altro l'avrebbe in mia vece. Che mi gioverebbe allora la fortuna? che mi avrebbe condotto la forza? Ahimè! più ancora che la terra su cui vive e l'umiltà dei natali, i medesimi affetti che dovrebbero innalzarlo incatenano l'uomo alla povertà della sua condizione. -
      E sospirò, il disgraziato. Il sospirare è una maniera di pensare, e sta in luogo di conclusione che non si trova.
      Fatto il giro del prato, e dovendo pur volgere un'occhiata al campo della prova futura, Marbaudo calcolò che, non perdendo tempo, si poteva falciare tutto il maggese in sei giorni. L'anno addietro egli ne aveva spesi otto; ma era anche andato tardi sul lavoro; spesso si era indugiato a barattar parole coi viandanti, secondo l'uso dei contadini, che in questa guisa, anche restando inchiodati sul loro lembo di terra, vivono un po' della vita del mondo.
      Per altro, se egli poteva compiere quella fatica in sei giorni, anche un altro poteva agguagliarlo.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





Getruda Getruda Getruda Marbaudo