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      Sapete bene che vanno così le faccende di questo povero mondo, dove uno è sempre da più quanto più è reputato dagli altri. Datemi aria e vado in cielo, dice un vecchio proverbio. Mettetevi in cento a dire che una donna è bellissima, e diecimila crederanno che non ce ne sia un'altra da entrare in paragone con lei.
      Nondimeno, se molti erano entrati in gara, una gran parte avevano dovuto ritirarsi, disanimati dalla tracotanza di quel tale che prometteva di falciare il prato in tre giorni. Quel tale, a farlo apposta, era uno degli scherani di Rainerio. Voi mi direte che, tracotanza per tracotanza, data l'altezza del premio, si poteva tentare egualmente. Ma no; il castellano era venuto fuori con una certa postilla che aveva sgomentato senz'altro. Egli dichiarava che al premio, da una parte, per coloro che avessero dimostrato di non andare coi fatti molto lungi dalle promesse, il conte Anselmo voleva far corrispondere una pena, dall'altra, per coloro che fossero rimasti in gara, dimostrandosi da meno. Questi, se aldioni o censuarii, sarebbero divenuti servi della gleba; se servi, avrebbero sentito il sapore del frassino. Ed era giusto giudizio, soggiungeva il castellano Rainerio; non dovendosi prendere a gabbo la benignità del conte, nè la solennità della prova che egli aveva ordinata.
      La conseguenza della minaccia fu questa, che molti si ritrassero, e non restarono in gara che quattro: Marbaudo, naturalmente, che era pronto ad ogni sorte peggiore; due uomini di masnada, creature di Rainerio, e un povero villano, giovane e forte, sì, ma di cervello balzano, che a Brania, dov'era nato, e nelle terre circostanti, chiamavano il Matto.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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