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      Autorità lontana, costretta a farsi temere soltanto a punti di luna, l'imperatore concedeva e confermava il dominio ai grandi sui piccoli, o ai piccoli contro i grandi, e imponendo a tutti prestazioni di denaro o di braccia, secondo il bisogno del momento.
      Alle stesse città che male lo riconoscevano, l'imperatore porgeva aiuto, o muoveva guerra, secondo il proprio interesse. E perchè tra gli eredi dell'impero di Carlomagno (vasta potenza non potuta durare in una mano sola) si erano moltiplicate le divisioni e le contese, ne venne la conseguenza che si formassero due nuove condizioni di vita: i signori indipendenti nei contadi, i comuni indipendenti nelle grosse città.
      E quelli e queste ricorrevano all'imperatore quando non potevano farne di meno, o quando avevano mestieri di lui, per difendere e custodire i lor privilegi. Nell'un caso e nell'altro, s'intende, erano oboli d'oro, che bisognava sempre pagare alla Camera imperiale, che sarebbe come dire all'erario di quei Cesari imbarbariti.
      Non siamo ancora al tempo dei vicarii imperiali, stabiliti nell'intento di ridare una certa apparenza d'unità alla compagine sconnessa della forza o del caso. Nè siamo ancora all'infierire della contesa tra l'Impero e la Corte papale. Perciò il discreto lettore consentirà che noi lasciamo questi elementi nuovi fuori del quadro modesto che abbiamo preso a tratteggiare. Noi dobbiamo restringerci a considerare il grande Aleramo, anzi la spartizione avvenuta dei suoi dominii tra i due figliuoli di lui perchè quei dominii non ebbero la sorte di diventare uno Stato, e rimasero piuttosto un patrimonio; o meglio, non rimasero neanche in tal forma.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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