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      - È vero, ragazzo mio! - disse il conte. - Ma siccome non c'è rosa senza spine, io ti auguro di pungerti bene.
      - Ah sì! e per non avere la rosa!
      - Perchè dici tu questo?
      - Perchè in un giorno non si falcia questo prato, nè da un uomo solo, nè da due.
      - E allora perchè sei rimasto in gara?
      - Perchè, mio signore? Perchè ho detto tra me: se ci sono dei matti che accettano di gareggiare ai patti del diavolo, perchè non ci starei io, che mi chiamo il Matto? Infine, se la ragazza non la dànno a Marbaudo, che è sicuramente il più forte di noi altri, potrebbero anche darla a me, che sono senza dubbio il più bello. Oh gua'! -
      Così dicendo, il Matto fece una smorfia ed un salto.
      - La modestia, - osservò il conte Anselmo, - non è mai passata sull'uscio di casa tua.
      - Sì, mio signore, è passata; - rispose il Matto; - ma è così cenciosa, che ho pensato subito di aizzarle i cani alle calcagna. -
      Bisognava ridere, e il conte Anselmo rise, alla bizzarra risposta.
      - Sia pure; - diss'egli. - Ma perchè hai tu detto poc'anzi che si gareggia ai patti del diavolo?
      - Perchè quell'ultimo, che ci ha guastate le uova nel paniere, è il diavolo, non può essere altri che il diavolo. Io gliel ho detto subito, quando si è vantato all'osteria di poter falciare il prato in un giorno: o tu sei il babbo dell'Anticristo, o sei un gran scimunito, che vuoi perdere il premio e farlo perdere agli altri. -
      Il conte Anselmo non rise più, ma stette alquanto sovra pensiero. Quando parla un matto, o uno che abbiamo per tale, tutti proviamo questa debolezza del pensarci su, e più assai che non faremmo per le parole di un savio.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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