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      Getruda levò gli occhi per guardare il conte, e in quegli occhi maliziosi brillò un raggio di speranza.
      - Debbo dirti, mio signore, - balbettò ella, con istudiata timidezza di accento - che mi sembri un bel sole?
      - Se questo è veramente il tuo pensiero, non mi dispiacerà,- disse il conte, posando una mano su quella di Getruda, che lasciò cader subito il fuso. - Ma non è bene che dove sono un uomo e una donna a colloquio, la dolce lode sia data all'uomo, mentr'essa è l'omaggio dovuto alla donna; e più - soggiunse egli, avvicinandosi, fino a bisbigliarle il resto della frase nell'orecchio, - quando la donna è Ingetruda.
      - Gisla è così bella, mi dicono! - esclamò la giovane astuta. - Tu devi amarla molto, la nobile signora!
      - Gisla è bella, sì, - rispose Anselmo - e sarebbe ingiustizia il negarlo. Ma chi ha veduto te, può dire di aver perduta la pace dei suoi giorni e il riposo delle sue notti. Ah, come sognerò ad occhi aperti, Ingetruda!
      - E accanto alla tua donna, mio signore?
      - Che vuoi tu farci? Sarà il destino che avrà voluto così. Tu non ami Marbaudo; lo hai detto. Ma potresti essere obbligata a sposarlo. Ebbene, non avverrebbe lo stesso anche a te, di posare accanto ad uomo, e di pensare ad un altro? Ingetruda, ascoltami. Non mettiamo fra te e me queste immagini incresciose. Vuoi tu che facciamo un bel sogno?
      - Facciamolo; - disse languidamente Getruda, abbandonandola testa contro la spalliera del seggiolone di quercia, e restando là, con le braccia prosciolte, nell'atteggiamento di una bella dama che ascolti la canzone di un paggio.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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