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      - Contentiamo questo degno scabino; - disse Legio, troncando d'un colpo una buona metà della sua lancia. - Va bene così?
      - Va bene; - rispose quell'altro. - Ma che diavoleria è questa mai? - soggiunse tosto, osservando il tronco rimasto nelle mani di Legio. - Eccolo da capo allungato.
      - Non badare, o scabino. E una virtù del salcio, quando è reciso di fresco. La pianta è in succhio, e il succhio lavora, non avvedendosi di ciò che è accaduto da un capo e dall'altro del tronco. Animo, via! e correggiamo questa soverchia vitalità del succhio. -
      Così dicendo, Legio diede un altro colpo del suo pennato al tronco di salcio, facendone cader mezzo sul terreno.
      Per quella volta il succhio non fece più miracoli, e il manico della falce non crebbe.
      - Ditemi ora, - rispose Legio, - donde avrò da incominciare.
      - Da dove vorrai; - dissero gli scabini, dopo aver guardato Rainerio, e veduto che non voleva aprir bocca.
      - Bene; - rispose il falciatore. - Allora sceglierei di piantarmi nel bel mezzo del prato.
      - Correrai il pericolo d'incontrarti questa sera col lavoro degli altri; - replicarono gli scabini.
      - Capisco, clarissimi viri, capisco. Ma io lavorerò prima voltato dall'altra parte, e poi mi volterò verso i miei competitori.
      - Ci sarà tempo, allora! - dissero gli scabini. - Andiamo dunque a segnare il punto donde comincierai tu, poichè ti piace attaccare dal mezzo.
      - Andiamo; - rispose Legio, mettendosi la falce in ispalla.
     
     
      CAPITOLO XV.
     
      Della falce che cresceva,
      e dello strano lavoro che riusciva a fornire.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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