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      Ma come li ebbe scoperti, la gran falce non si fermò; seguitò a falciare, allungandosi sempre, allungandosi ancora, e troncò nette le gambe dei due campioni di Rainerio.
      - Senti com'è nodoso, questo fieno! - esclamò il falciatore gigantesco. - Si direbbe osso, non erba. Ah, perbacco! ho capito; - soggiunse egli, ghignando, mentre quei due stramazzavano sul terreno; - erano due paia di gambe. Ma chi ha consigliato a voi di mettervi in gara? -
      E frattanto la falce correva, allungandosi sempre; correva con moto uniforme da una estremità all'altra del prato.
      Il Matto, che la vide tornare dalla parte sua e che aveva veduta la sorte toccata ai due scherani, non istette alle mosse; il terrore gli pose l'ali alle calcagna.
      Marbaudo non si mosse. Per lui, disperato, meglio valeva il morire.
      - Va via! - gli disse il terribile falciatore, mentre la falce passava ancora una volta, ma raccorciandosi rasente al povero sconfitto.
      - No! - disse Marbaudo. - Ti ho conosciuto. Tu sei il maligno. Nel nome di Dio, e nel segno della santa croce, tu ti allontanerai dalle gare degli uomini.
      - Non chiamare il nome di Dio invano! - rispose quell'altro. - È uno tra i primi comandamenti della legge. Io, del resto, a te non voglio far male. Voglio Getruda.
      - Getruda! - mormorò Marbaudo, profondamente turbato. - Ahimè! che ti abbiamo noi fatto?
      - Tu nulla, poveraccio.
      - E allora perchè mi rubi ciò che doveva esser mio?
      - Distinguo. Se doveva esser tuo, non era ancor tuo, ne convieni? Io dunque non ti rubo nulla. Aggiungi un particolare, che ha pure la sua importanza nella soggetta materia.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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