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      E ciò, finalmente, senza alcun danno del vecchio Dodone, mio amatissimo suocero, che son dolente di non veder qui, e che io farò ricco di terre e di servi oltre ogni suo desiderio; come senza danno della mia sposa dolcissima, a cui son destinate tutte le gemme che vedi. -
      I donzelli si avanzarono, ad un cenno di Legio, e deposero ai piedi di Getruda le coppe d'oro e d'argento, gli stipi d'ebano, incrostati d'avorio, le custodie di cristallo e di madreperla, in cui brillavano le gemme, i vezzi, i monili offerti da Costantino Macèdone alla sposa.
      In mezzo a tanto luccichio, il diamante Efiraz mandava raggi che abbarbagliavano la vista.
      - Vedi, Ingetruda, questa montagna di luce? - disse Legio, o Costantino che s'avesse a chiamarlo. Sarà il fermaglio per il tuo manto di sposa. -
      Getruda guardò il donatore, e mise un sospiro; accettò dalle mani di lui il diamante Efiraz, e socchiuse gli occhi, nell'atto di accostarselo al seno.
      Ma il conte Anselmo non poteva acconciarsi così facilmente alla vittoria del potente rivale.
      - Tutto ciò mi sa di strano; - diss'egli. - Io non intendo... non intendo come e perchè tu venga improvviso, da così lontana regione, principe e falciatore, a far atto di autorità nei miei dominii, col tuo fasto e con le tue montagne di luce.
      - Ah, tu non intendi? - replicò l'altro, ghignando. - Non ti meravigliare della tua ignoranza. Neanche il povero Marbaudo, innamorato della bella Ingetruda e gradito come genero dal vecchio Dodone, intendeva perchè gli si dovesse insidiare la sua pacifica conquista.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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