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      Naturalmente fiutando una stregoneria in tutto quell'apparato sontuoso, e sopra tutto non credendo affatto alla chiacchiera di Legio, che si era spacciato per Costantino Macèdone, fratello dell'imperatore di Bisanzio, e cognato del morto imperator di Lamagna, Anselmo aveva voluto scagliarsi su di lui, per istrappargli dalle mani Getruda; ma ne era stato impedito da una frotta di ignoti personaggi, veri dèmoni scatenati, che avevano preso a saltargli intorno, facendogli mille scherni, e stringendoglisi addosso per guisa, che oramai non aveva quasi più modo di respirare. Ed anche, sul bel principio di quella ridda diabolica, egli aveva sentito un concerto di trombe e di timpani, musica sinistra che pareva escir dall'interno della casa di Dodone. Ma poco dopo era anche cessata la musica, e nella casa regnava un silenzio di tomba.
      La guardavano tutti, mentre egli parlava; la guardavano tutti, la modesta dimora, il cui uscio era spalancato, ma non invitava nessuno ad entrare. E si faceva parlamento tra i canonici, proponendo qualcuno di metter mano agli esorcismi, allorquando, su dal ciglio della costiera sovrastante, si vide apparire Dodone, che ritornava dai boschi con la sua scure in ispalla.
      Era meditabondo, il vecchio; veniva a passo lento e con gli occhi bassi, come uomo che sia afflitto da un grave pensiero. E bisognò che arrivasse molto vicino, perchè egli finalmente si avvedesse di quella folla che stava sull'aia, aspettandolo.
      A tutta prima diede un'occhiata di stupore; poi vide i canonici con le stole, vide la croce sorgente dal mezzo del sacro corteo, ed ebbe l'aria di cercare dentro di sè la ragione di un fatto così strano.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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