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      - Perchč dici tu il vero?
      Marbaudo capė che il povero vecchio aveva smarrita la ragione. Nondimeno, tentō ancora di richiamarlo alla memoria delle cose.
      - Dodone, ti prego, raccogli i tuoi pensieri. Non vieni tu ora dalla stanza di tua figlia?
      - Vengo, sė, - rispose Dodone, - vengo dal bosco; vengo da abbattere gli alti pini sottili, per farne pali alla vigna.... alla vigna del conte. Č del conte, la vigna; e dica Ansperto quel che gli pare; la vigna č del conte. Č il pių forte, quegli che possiede; č il pių forte, quegli che beve.
      - Padre mio.... ti prego!...
      - Padre! chi sei tu, che mi chiami padre?
      - Non mi conosci pių? Son Marbaudo, quegli che tu amavi chiamar figlio, e che sperava....
      - Speravi? Non sperar nulla, - interruppe Dodone. - Anche il pino sperava, povero pino! sperava di durare all'aria aperta e di crescere al sole. Ma vedi la mia scure? Essa lo ha inesorabilmente colpito.
      Gli occhi di Marbaudo corsero alla scure, che Dodone serrava ancora nel pugno.
      - Che vedo? - gridō egli, inorridito. - Gronda sangue la tua scure, o Dodone.
      - Sangue del pino! L'ho ben colpito io! e nel punto vitale! Anche il pino, mi capisci? anche il pino ha un'anima, come ogni creatura di Dio. Anche noi, nati sulla terra, vissuti sulla terra, schiavi della terra, abbiamo un'anima anche noi; e conti e castellani non lo vogliono credere.... non lo vogliono credere!..
      - Pace alla tua anima afflitta, povero vecchio Dodone! - disse dolcemente il primicerio Luitprando, facendosi innanzi per cessare quella scena dolorosa.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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