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      - Eh, così fosse! - gridò il vecchio Dodone. - Ma così non è, perchè altrimenti i miei padri lo avrebbero detto. Essi invece hanno sempre detto che apparteneva alla Chiesa. La terra è sempre di qualcheduno, perchè Dio a qualcheduno la dà. E non l'ha data ai miei padri. Non è stata giustizia, lo so, perchè essi ci hanno sparso il loro sudore, ci son nati e ci sono morti, come io ci sono nato e ci morrò; mentre i padroni non fanno altro che prendersi il frutto dei nostri sudori. Sono i padroni, che dirti di più? hanno la forza dell'ingegno, per dominarci. Anche noi, come soggiogheremmo i buoi, pazienti ed ignoranti animali che ci potrebbero mandare in aria con una cornata, se non avessimo la forza dell'astuzia, che è tanto da più della forza dei nervi? E così durerà, fino al gran giorno... che del resto è vicino, per quel che dicono. E a me non importa che sia vicino o lontano. Se viene, mi defrauda di poco. Vorrei che fosse oggi la vigilia e domani la festa. A noi, del resto, scendendo nella sua gloria, il giudice supremo dirà: "Povera gente, che avete sempre faticato e sempre obbedito, venite qua, c'è un buon posto alla mia destra per voi. Quegli altri, che hanno fatto in ogni cosa il piacer loro, che nel vostro sudore si sono abbeverati, delle vostre miserie rallegrati, delle vostre donne, quando erano belle e fiorenti...."
      Ma gli amici di Dodone non permisero che egli continuasse, e furono pronti a dargli sulla voce.
      - Perdonagli, messer conte! - gridarono essi, intromettendosi.


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Il prato maledetto
Storia del X secolo
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano
1909 pagine 213

   





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