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      Alla gaiezza e al clamore è successo un silenzio impicciato e quasi doloroso, quel senso di tristezza che generano le scenate popolari in mezzo a una bella festa. Tutti sono partiti lasciando Turiddu solo nella gran piazza piena di sole. È un momento d'ineffabile malinconia. Turiddu non sa come baciare, forse per l'ultima volta, la madre. E un breve intermezzo di violini tremolanti nel grande silenzio, s'espande rinforzando scendendo salendo diminuendo, come fa il vento, e come fanno i sentimenti umani fluttuando per i lor ciechi e irremeabili labirinti. Finchè Turiddu trova la scusa: ha bevuto troppo, ha bisogno di un poco d'aria libera; e fingendosi ubbriaco chiede alla madre la benedizione «come quel giorno che partì soldato». Questa frase è un nulla: eppure è un'evocazione sublime. Bisogna infatti sapere che cosa significhi per gli abitanti dei paesetti sperduti e lontani dai grandi centri la leva militare, quella ineluttabile chiamata che strappa alle madri e ai padri i figli per portarli, là, nelle contrade ignorate o sognate come piene di terribili pericoli, donde spesso non tornano più; bisogna intendere tutta la delicatezza di quell'immagine infinitamente triste. E nella musica c'è tanta semplicità, tanta giustezza di malinconia affettuosa, che volentieri noi porremmo questa scena tra le più grandi d'ogni teatro. Ma alla pietà filiale s'accoppia in Turiddu la compassione per Santuzza: ed egli prorompe allora in una spasimante frase: «Voi dovrete fare da madre a Santa!


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Pietro Mascagni
di Giannotto Bastianelli
Ricciardi Napoli
1910 pagine 103

   





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