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      Nella prima agiscono come personaggi, o meglio come simboli gli strumenti; nella seconda gli strumenti non hanno valore solitario nè tanto meno simbolico, ma sono, per dir così, senza individualità contribuendo quasi con ufficio di coro a sottolineare a colorire a registrare come i timbri d'un organo lo svolgimento delle idee. Quella di Schumann sembra apparentemente un'orchestrazione più astratta e quella di Wagner più concreta, ma in realtà le parti vanno invertite. Wagner, laddove l'ispirazione non lo trascini e non gli gonfi – non so dir meglio – le forme che come vuoti canali egli scava fabbricandole sempre sullo stesso schema, è un raziocinatore, un critico filologo che ha imposte alla musica drammatica le regole scoperte da' glottologi nell'organismo delle lingue. Lo Schumann è invece più immediato più intimo più casto. Wagner, ripeto, ha violentata, innestandovi anche la tradizione bachiana, la nitida orchestrazione beethoveniana. Lo Schumann è rimasto più vicino e più fedele al tipo puro di quell'orchestrazione. Si confrontino infatti le partiture d'una sinfonia di Beethoven e di Schumann con quelle degli atti d'uno spartito wagneriano dal Rheingold in giù: si vedrà chiaramente che ciò che differenzia Beethoven da Wagner differenzia quasi allo stesso modo11 Schumann da Wagner. Una conferma storica della maggior purezza di tradizioni orchestrali nello Schumann piuttosto che in Wagner la troviamo nel beethovenismo per lo più retorico, ma significantissimo al caso nostro, dell'epigono di Beethoven e anche di Schumann, il Brahms.


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Pietro Mascagni
di Giannotto Bastianelli
Ricciardi Napoli
1910 pagine 103

   





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