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      Onde non è senza un certo orgoglio sereno che io proclamo apparire in Mascagni i segni d'una rinascita, il presentimento d'una nuova melodicità latina e, cioè, di un nuovo diatonismo. Se non che questo pregio, che una volta di più si può e si deve concedere agli Italiani, e cioè quello di precorrere per certa nazionale spontaneità del nostro genio, deve appunto procurarci un orgoglio sereno, non fanatico e cieco: infatti io ripeterò le parole del Foscolo: «o Italiani! qual popolo più di noi può lodarsi dei benefizi della natura? ma chi più di noi (nè dissimulerò ciò che sembrami vero, quando l'occasione mi comanda di palesarlo) chi più di noi trascura e profonde quei benefizi? A che vi querelate se i germi dell'italiano sapere sono coltivati dagli stranieri che ve li usurpano?». E, a terminare, citerò le parole d'un altro grande italiano, Bertrando Spaventa, le quali, per essere scritte sulle condizioni d'un'attività che gl'italiani ebbero in comune con i tedeschi – la filosofia – ; le sorti della filosofia italiana e della tedesca essendo intrecciate in modo analogo alle sorti della musica italiana e della tedesca; possono esser citate tanto per la filosofia che per la musica. «Che se noi, egli scrive, vogliamo ancora e possiamo avere un privilegio, questo è quello di precorrere ed effettuare un più largo indirizzo... Ma ciò a un patto; e questo è di non rigettare tutto quel che si è fatto da un gran pezzo fuori d'Italia o meglio che in Italia, ma studiarlo, comprenderlo, appropriarcelo; e solo così, entrati in più largo orizzonte, conosciuto meglio noi medesimi e ritemprata la nostra vita nella perpetua corrente della vita universale, fare un gran passo innanzi non nel vuoto, ma con la piena coscienza delle nostre forze, del nostro còmpito, del còmpito comune». Parole che fanno fremere come una sinfonia di Beethoven.


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Pietro Mascagni
di Giannotto Bastianelli
Ricciardi Napoli
1910 pagine 103

   





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