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      - che l'arte per cui ho sofferto tanto, addoppiando me stesso, era un bisogno imperioso di creare; che la scienza di queste Accademie è il deserto, il vuoto, il nulla, o il tritume, la polveraglia dei morti: che gli anni di mia giovinezza erano un voto: che i miei tormenti, le mie fedi, il mio scetticismo, le mie speranze, le mie battaglie, il mio isolamento nella folla, il mio sdegno pei volgari, le mie povere poesie, erano indizi di un'anima che rigurgitava in un corpo nervoso, di un'anima che voleva un'anima! - Sono solo nel mio studiolo, solo, freddoloso e mesto. Ogni anno di questi dì faccio una ben triste resa di conti: - delusioni si aggiungono a delusioni. I volgari non si accorgono mai delle foglie che cadono, tu piangi: e la baraonda prosegue. Tu sorridi: oh veramente ci fosse Dio e vedesse e almeno lui apprezzasse questi sorrisi!
      - Qualcosa c'è che non si soggioga a cifre: qualcosa c'è che rende uggiosi i libri dei filosofi: qualcosa c'è che consola i soli, gli abbandonati, i poveri, i poeti! - Oggi bisognerebbe tutto domandare ai medici materialisti. Io domando troppo a me stesso.
     
     
     
     
      ULTIMO GIORNO DELL'ANNO 1877.
     
      Lunedì, 31 dicembre.
     
      Mancano tre ore e l'anno sarà finito. Ho qui sul tavolo tutte le mie memorie. E voglio scrivere. Scrivendo imito il carattere di Lidia, Che cosa voglio scrivere? Nulla di ordinato. Incomincio col rileggere le mie annotazioni del settembre 1876, poi voglio leggere il mio portafogli co' miei sogni di artista (1873-1874-1875): poi la mia lettera a Lidia: poi la sua a me.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





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