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      Prima del 1620 non era il caso di dire - avviamoci. Oh no! bisognava baciare i cari e la soglia della casa, poi mettersi al pellegrinaggio, per selve, per frane, per stagni, per ciglioni di precipizi. Che parolacce le sono queste? Oggidì, grazie all'abate Bertodani, si passeggia su una strada larga, liscia, ombreggiata, ad ogni tanto facendo sosta al parapetto per contemplare o una cappella, o giù la vallea col mugghiante Oropa, o la vetta su del Mucrone, oppure per cogliere una margheritina e per interrogarla. Purchè si eviti il sabbato, giorno in cui i valligiani salgono a vere processioni, e l'ora in cui passano gli omnibus fragorosi. E va, e va: il santuario si scopre solo all'ultima voltata della strada: apparisce un aggregato immenso e basso di fabbriche diverse, tutto bigio, con una cancellata a lance d'oro, sullo sfondo di un monte arsiccio. Tutti quelli che lo descrissero usarono le cifre, dicendo le misure, la fondazione, gli ampliamenti, e via: io vorrei adoperare la matita, ma non so proprio da dove incominciare, nè so metter giù le linee da ingegnere o da prospettico. Pazienza! chiudo l'albo e m'abbandono alle impressioni. Il primo cortile ha l'aria animata di un luogo di fiera: la piazza, da cui vedesi il piano del Vercellese e del Novarese, la scalea barocca piena di gente oziosa e sdraiata, la fronte dell'edificio reale colle statue dipinte e gli stemmi d'oro, i porticati dorici, tutto mi piace e mi ricorda qualche cosa di Genova: il secondo cortile colla fontana, la chiesa e i pratelli mi dà una mestizia indefinita.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





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