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      Ecco là un paese su uno sfondo tutto cenerugiolo e senza misura: i muricciuoli di una pallidezza sucida da cenci immollati: gli orti bruni, senza più una siepicina, tutti a stecchi ed arruffaglie: le finestre ingozzate di fogliaccie: le casette rattrappite l'una sull'altra, come chi si stringa nelle spalle: i palazzotti, su alti, a grandi fioriture nere, coi solai abbandonati: e le chiese, più alte ancora, coll'aspetto più freddo del nudo mattone e i vani più bui delle arcature dei tetti: e, più alti ancora, i campanili, nudi e soli, che sguardano cogli occhioni abbacinati nelle nebbie....
      E su tutto, sui campi infiniti e sui paeselli perduti, un umido intenso, una tristezza plumbea, una distesa persa, che non chiamiamo cielo, ma chiamiamo oblìo.
      E si intorbida sempre più la squallida alba del Natale.
      Là, in fondo in fondo si accende un lumicino, una lucciola oleosa, un occhio giallo e sonnolento, e poi là, dall'alto dall'alto, si ode uno scricchiolìo: lo strido di un ceppo scheggiato, un rantolo pesante e brontolone.
      Il curato si veste: e il sacrestano incomincia a pigliare la fune della campana....
     
     
     *

      * *
     
      O colombi, che con volo obliquo e soavissimo calate innanzi alle scalee delle misteriose ville rococò a bere dolcemente nei cavi della vecchia arenaria le piogge del dicembre infecondo: o passeri, che, stormeggiando bellicosi, vi affollate sui santi cornicioni delle chiese smattonate a beccare protervamente le lolle sospintevi dai venti: o rampichini muraiuoli, che col capo in giù vi aggrappate ai sagginali che tappano le finestruzze, arruffando lo spavaldo ciuffetto, per cacciarvi in una stalla piena di marmocchi, di contadine e di fole: o reatini, reatini minimi, che nei rosai brinati dei cimiteri sbattete l'ali rapidissime, quasi cercando i nonni ai radiconi del campo e ai cataletti del beccamorto, i nonni aggelati che, come voi sono i simboli del verno: - o miei amici, amici della mia casta infanzia e della mia trepida giovinezza, gentili poeti dei voli e dei susurri, poveri uccelli che avete sete, che avete fame, che avete freddo, che avete le nebbie nell'animuccia, venite alla mia finestra in quest'alba sì mesta, venite ai miei vasi di fiori, venite alla mia stanzetta.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





Natale