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      [pag. 10]Interpetrazione delle Leggi.
      Quarta conseguenza: nemmeno l'autorità d'interpetrare le Leggi Penali può risedere presso i Giudici criminali per la stessa ragione, che non sono Legislatori. I Giudici non hanno ricevuto le Leggi dagli antichi nostri padri come una tradizione domestica ed un testamento, che non lasciasse ai Posteri, che la cura d'ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal Sovrano rappresentatore di essa, come legittimo depositario dell'attuale risultato della volontà di tutti; le ricevono non come obbligazioni d'un antico giuramento, nullo, perchè legava volontà non esistenti, iniquo, perchè riduceva gli uomini dallo stato di società allo stato di mandra, ma come effetti di un tacito, o espresso giuramento, che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al Sovrano, come vincoli necessarj per frenare e reggere l'intestino fermento degl'interessi particolari. Quest'è la fisica e reale autorità delle leggi. Chi sarà dunque il legittimo interpetre della Legge? Il Sovrano, cioè il depositario delle attuali volontà di tutti; o il Giudice, il di cui ufficio è solo l'esaminare, se il tal uomo abbia fatto, o no un'azione contraria alle leggi?
      In ogni delitto si deve fare dal Giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev'essere la Legge generale: la minore l'azione conforme, o no alla legge: la conseguenza la libertà, o la pena. [pag. 11] Quando il Giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all'incertezza.
      Non v'è cosa più pericolosa di quell'assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge.


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Dei delitti e delle pene
di Cesare Beccaria
1764 pagine 84

   





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