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      Chiunque si uccide fa un minor male alla Società, che colui, che ne esce per sempre dai confini; perchè quegli vi lascia fino il suo corpo, ma questi trasporta se stesso, e parte del suo avere. Anzi se la forza della Società consiste nel numero de' Cittadini, col sottrarre se stesso, e darsi ad una vicina Nazione, fa un doppio danno di quello, che lo faccia chi semplicemente colla morte si toglie alla Società. La questione dunque si riduce a sapere, se sia utile, o dannoso alla Nazione il lasciare una perpetua libertà di assentarsi a ciascun membro di essa.
      Ogni Legge, che non sia armata, o, che la natura delle circostanze renda insussistente, non deve promulgarsi; e come sugli animi regna l'opinione, che ubbidisce alle lente, ed indirette impressioni del Legislatore, che resiste alle dirette, e violente; così le Leggi inutili [pag. 83] disprezzate dagli uomini comunicano il loro avvilimento alle Leggi anche più salutari, che sono risguardate più come un ostacolo da superarsi, che come il deposito del pubblico bene. Anzi se, come fu detto, i nostri sentimenti sono limitati, quanta venerazione gli uomini avranno per oggetti estranei alle Leggi, tanto meno ne resterà alle Leggi medesime. Da questo principio il saggio dispensatore della pubblica felicità può trarre alcune utili conseguenze, che, esponendole mi allontanerebbero troppo dal mio soggetto, che è di provare l'inutilità di fare dello stato una prigione. Una tal Legge è inutile, perchè a meno, che scogli inaccessibili, o mare innavigabile, non dividano un paese da tutti gli altri, come chiudere tutti i punti della circonferenza di esso, e come custodire i custodi?


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Dei delitti e delle pene
di Cesare Beccaria
1764 pagine 84

   





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