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      Il marchese Pareto di Genova veniva allora eletto al ministero: egli accettava il portafoglio a sola condizione, che si fosse portato soccorso alla Lombardia. Il Piemonte era giā in piede di guerra: ve lo avevan sforzato le reiterate minacce dell'Austria, e le ben note disposizioni di quel popolo, che altro non agognava, che misurarsi una volta col barbaro austriaco. Emanato l'ordine, in tre giorni l'armata piemontese poteva essere sotto le mura di Milano. Eppure, quando ella vi entrō, l'Austriaco era giā presso a Mantova ed a Verona(1). Mantova, e Verona potevano chiudere le loro porte all'armata nemica, e difendersi sino all'arrivo dei piemontesi. La guarnigione austriaca, che le presidiava, era debole troppo, troppo scoraggiata per doversi temere. Solo per viltā e perfidia d'una conspirazione ordita, e fomentata da alcuni personaggi della aristocrazia piemontese, e probabilmente lombarda, che si mantenne sino al finire della guerra, furono conservate a Radetzky queste due piazze forti. con le altre due di Peschiera e di Legnago.
      A Mantova il vescovo stesso percorreva le strade della cittā, e gli attoniti ed esterrefatti abitanti supplicava avessero a lasciarne a lui la cura di tutto accomodare: egli avrebbe pattuito con i capi delle truppe, che giā si avvicinavano: diceva, che queste venivano solo per unirsi ai soldati della cittadella, e con questi sortirebbero dalla fortezza senza tampoco inquietarne la popolazione, che non volevano esporre a ricevere affronti, nč averne danni.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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