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      Sovente ripetevan essi, che se la sorte avesse arriso al nemico, le loro teste sariano state le prime immolate. Gli è ben certo che gli austriaci avriano severamente inveito contro uomini, che francamente costituito si erano a capi rivoluzionari; ma supponiamo che durante la lotta si fossero ben guardati da ogni misura ostile agli interessi dell'Austria, non potevan dessi giustificare la loro condotta in faccia ad un nemico vincitore, mostrandosi quali sudditi fedeli offertisi per mantener l'ordine, e contenere il furore del popolo?(4).
      Io non pretendo, che questo fosse il pensiero del governo provvisorio: tendo solo far conoscere, che il popolo non fu mai chiamato ad eleggerne i membri, e che la sua causa non fu mai confusa colla loro.
      Il capo della polizia barone Torresani avea presa la fuga; e seco lui era scomparso tutto il resto della austriaca amministrazione. Fu giocoforza organizzare un officio di polizia. Lo si organizzò malissimo. Un vecchio medico di Padova, precettore in una famiglia veneziana stabilita a Milano, uomo di spirito superficiale e leggiero, non cattivo, incapace, a mio credere, di un tradimento, da una eccessiva vanità trascinato, fu posto alla testa della polizia. Giammai impiego alcuno richiese acume e astuzia e fermezza maggiore: giammai uomo al mondo fu a quello più inetto di quanto il fosse il nuovo direttore della polizia, il dottor Fava.
      Due fra i rappresentanti dalle città insorte al governo di Milano inviati, l'uno pel suo attaccamento alla casa d'Austria, per le sue opinioni repubblicane l'altro, eran conosciuti.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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