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      La questione più difficile pel Governo Provvisorio si fu quella dell'armamento. Per ben comprendere in qual posizione ci si trovasse rammentar bisogna, che sul finire dell'aprile, quando Litta cadde ammalato, a tutti gli impieghi della guerra furono chiamati dei Piemontesi, che dai loro generali le istruzioni ricevevano. Quanto al generale in capo Teodoro Lecchi, non ebbe mai un vero potere in questa amministrazione.
      La popolazione chiese di marciare il giorno istesso che cacciava l'Austriaco dalle sue mura: voleva inseguirlo per perderlo. Gli venne fatta obiezione del difetto d'armi e promessa d'un pronto provvedimento. Ad onta di tal promessa l'armamento della Guardia Nazionale fu tardo: otto giorni prima della capitolazione di Milano, quando il popolo ammutinato dinanzi alle porte del palazzo Marino dichiarava non volersi ritirare pria, che la leva in massa non fosse proclamata, si rispondeva: «Come volete voi ordinare una leva in massa quando mancano le armi?» Eppure quello stesso popolo otto giorni dopo trovava 62 mila fucili nascosti nel palazzo del Genio.
      Io non mi farò qui a dettagliare tutti i non finiti contratti: gli ordini dati, e contromandati, i mille ostacoli sempre all'armamento frapposti. I fabbricatori d'armi della città di Brescia avevano fatto proposta al governo provvisorio di provvedere 500 fucili in settimana: non se ne concluse nulla. I fabbricatori di panni in Como avevano offerto di fornire ad un tempo determinato una determinata quantità di panno verde per le truppe lombarde: si rifiutò l'offerta.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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