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      Tutto mi diceva, che l'entusiasmo v'era ancor vivissimo: ben presto mi convinsi della incapacità di coloro, che s'eran presi a governare un paese di cui non ne comprendevano la condizione.
      Gettando un sguardo, sul teatro della guerra, nè i movimenti dell'armata piemontese, nè il trattamento dei volontari, nè la direzione che ai loro sforzi generosi si dava, mi rassicuravano. Carlo Alberto per vero alla testa di 50 mila uomini, contro le fortezze dell'austriaco guardate, marciava: un bando solenne chiamava all'armi i principi d'Italia, a mandare il loro contingente in Lombardia gl'invitava. Pochi giorni prima che Durando capitolasse e le truppe napolitane si revocassero, il numero dell'armata italiana guerreggiante contro l'Austria sommò per un momento sino 100 mila uomini: al tempo stesso il generale Perone ad organizzare il contingente lombardo attendeva: doveva questo supplire alle perdite dell'armata.
      Chiunque però attento seguiva le mosse della guerra non poteva a meno di non sentire un'amara inquietudine. Attorniato dal suo vecchio stato maggiore, tutti conti e marchesi del Piemonte, si compiaceva re Carlo Alberto a rintracciare dei piani strategici, che se fossero stati d'onore a Carlo XII ed a Federigo il Grande, dopo le innovazioni nell'arte della guerra per opera di Napoleone introdotte, ridicoli riescivano anzichè vani. Le truppe piemontesi a tardo passo marciavano su Mantova e Verona: in costruire strade, e ridotti, scavar fosse, un tempo prezioso si perdeva, intanto che dall'Allemagna numerosi rinforzi scendevano all'inimico.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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