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      Stracciata la capitolazione, stava in arbitrio del generale d'Aspre ordinare il saccheggio: preferì lasciar libero sfogo a private vendette, a personali rancori. I forzati di Porta Nuova lasciati in libertà si unirono ai soldati: entrarono nelle semideserte case: gli oggetti preziosi derubarono: dalle case passarono alle chiese, dalle chiese ai musei nazionali. I generali Rivaira e Roger, che per inferma salute non avevan potuto sottrarsi colla fuga, furono condannati a morte. Mancavano i tribunali, gli impiegati al fisco, le formalità, e sopratutto il tempo necessario per confiscare i beni dei profughi: ad altro mezzo si ebbe ricorso: le contribuzioni forzose esaurirono le casse private.(24) Ad onta delle istanze, delle minaccie e delle promesse del generale austriaco, nessun emigrato pensò di rimpatriare.
      Dopo i fatti dell'agosto quasi 100 mila milanesi ebbero asilo nel Cantone Ticino: fra questi, due membri del Comitato di difesa, Restelli e Maestri: s'unirono questi a Mazzini, pure emigrato, al quale le ultime nostre sciagure non furon nuove: si costituirono in giunta insurrezionale. Un gran numero di lombardi, specialmente coloro, che tutto sperano dalla casa di Savoia soltanto, si portarono in Piemonte: dove ebber accoglienza poco fraterna: a Parigi stessa furono freddamente ricevuti coloro, che v'eran venuti a dimandare il soccorso francese. L'Austria aveva fatti precedere i nostri lagni da ogni calunnia. A Torino, come a Parigi, si diceva la nazione lombarda vile-egoista-frivola.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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