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      I due che lo accompagnavano in quella congiuntura, o certamente almeno uno di essi, ch'era uomo di alto intelletto ed eloquentissimo, tentarono di far capace il vicerè che il suo posto era in mezzo del popolo di cui aveva accettata la sovranità, anzichè al séguito di un capo che gliel'avea data dianzi. Era il vicerè una di quelle menti corte cui giova appuntellar con imagini i propri raziocini, e che non si sceverano facilmente da un'idea di cui sieno o autori o editori, per ciò solo che troppo arduo fora per loro il surrogarvene un'altra. Il poco frutto delle giudiziose instanze dei compagni del vicerè in quella congiuntura, non mi fa meravigliare. La comparazione dei rami che cadono inevitabilmente quando l'albero è atterrato, era pel principe Eugenio un argomento irrepugnabile, contro del quale l'acume dell'istesso Machiavelli sarebbesi spuntato. Sarebbe stato forse più fruttuoso il contraporre un'altra imagine a quella posta innanzi dal vicerè; il fargli, cioè, avvertire che prima di scagliare la scure contro l'albero o troppo vecchio o condannato a perire per qualunque altro motivo, l'ortolano spesse volte ne recide un ramo, e, ripiantatolo diligentemente, lo inaffia, lo pota, lo protegge, lo cresce, cosicchè diventi albero alla sua vôlta. Questa semplicissima risposta avrebbe fatto, o ch'io m'inganno di grosso, maggior impressione nell'animo del vicerè, che non le più sottili deduzioni della più sana politica.
      Giunse il 16 di aprile dell'anno 1814. Ognun sa che l'esercito franco-italo, ritrattosi sul Mincio, vi si reggeva in buona condizione, e che gli ultimi fatti d'arme erangli iti a seconda.


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Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent'anni e delle cagioni del difetto d'energia dei lombardi
di Cristina di Belgioioso
1847 pagine 218

   





Eugenio Machiavelli Mincio