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      La deputazione dei collegi elettorali era partita per a Parigi, e non alla vôlta del quartiere generale austriaco. Qual meraviglia se il maresciallo Bellegarde conducea le sue truppe verso la città che, sollevatasi contro il nemico di lui, era rimasta senza forze militari in cui poter fidare, senza protezione? Qual dubbio che il maresciallo e le sue genti non si ritraessero sollecite e non isgombrassero senza indugio la città, il giorno dopo il ritorno degli statuti fondamentali del regno d'Italia e dell'atto di nomina del novello monarca? Chi ponga mente che tutti i nemici del governo franco-italo non altrimenti riguardavano la spedizione delle Potenze Alleate, che come una crociata contro il dispotismo militare e a pro dei popoli, potrà farsi per avventura capace di quell'acciecamento sì strano, ma del quale mi fo ad arrecare le pruove.
      L'esercito non era ancora rassegnato a sottomettersi. Uno de' suoi capi, col quale mi sono abboccato in quel torno, diceami: "Siamo avvezzi da sì lungo tempo a vederli (gli Austriaci) fuggire dinanzi a noi, che non possiamo indurci ad accettarli per padroni". Aveva il vicerè esortato gli ufficiali del suo esercito a ben ponderare le cose prima di pigliare un partito; "perocchè", diceva egli loro, "se ricusate di sottomettervi, ad onta della convenzione da me sottoscritta, vi farete rei di ribellione militare, e vi esporrete ai più gravi pericoli".
      Ma ad onta di queste ammonizioni, la tentazione fu troppo forte pei generali italiani ch'erano allora in Mantova.


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Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent'anni e delle cagioni del difetto d'energia dei lombardi
di Cristina di Belgioioso
1847 pagine 218

   





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