Pagina (129/218)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Per le quali cose, dichiarò la giunta: 1.º non esservi stata congiura; 2.º essersi proferite parole contro il governo, e formati vaghi disegni, e non averne gli accusati ragguagliata la pubblica autorità. Condannò essa perciò gli accusati alla massima pena comminata pel reato di non-rivelazione, cioè a cinque anni di carcere duro. Ma non si dovea essa frapporre l'imperiale clemenza? Sì; e di fatti, tre anni dopo che gli accusati erano stati, all'uscire dall'ultima udienza della giunta, ricondotti nel carcere, la sentenza che li condannava a cinque anni di carcere duro, ritornò da Vienna a Mantova, colla commutazione della pena in diciotto mesi della detenzione medesima. Dietro le massime del vigente diritto, i tre anni trascorsi avrebbero dovuto essere riguardati come una più che sufficiente espiazione della pena commutata, ma S. M. volle altrimenti. La detenzione degli accusati fino a quel punto, era stata, in sua sentenza, non una pena, ma un mero provvedimento per la pubblica sicurezza, nè potea diventare una pena se non dal momento in cui veniva pubblicata la sentenza. Poco montava che quegl'infelici gemessero in carcere da tre anni, mentre la pena da infliggersi loro doveva essere una detenzione di soli diciotto mesi; fu forza dopo i tre anni di carcere già sofferti subire ancora altri diciotto mesi di detenzione, cosicchè la grazia imperiale valse ai captivi la liberazione dalla pena per soli sei mesi. E sì che la promessa fatta fare dall'imperatore di perdonare ogni cosa era quella sola che aveva indotta la giunta, tutta composta dei più caldi zelatori di Casa d'Austria, a proferire una condanna che ad essi stessi pareva non a bastanza fondata.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent'anni e delle cagioni del difetto d'energia dei lombardi
di Cristina di Belgioioso
1847 pagine 218

   





Vienna Mantova Casa Austria