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      La bella fu, che mentre esso usciva, il frate gli domandò più volte come stava Bernetti; ma egli non rispose, e facendo comparire me poveretto un malcreato, se ne andò per prudenza senza aprir bocca. Io me ne tornai su pian piano, e nel salir le scale udii che diluviava: dissi allora: povero ferraiuolo mio! ed entrai in camera. Eccone un'altra più bella. Verso giorno i frati si alzarono pel mattutino, e quanti ne passavano avanti alla porta della mia stanza, bussavano e dicevano: Come state signor Giuseppe? (perchè V. S. sa, che anche il suo figliuolo si chiama Giuseppe). Ed io che non era Bernetti, mi contentavo o di non rispondere quando le bussate leggiere potevano far supporre che non avessi udito, o quando esse erano forti, mandare un certo suono inarticolato, che sembrava un muggito di buona grazia, e così siccome i lamenti presso a poco somigliano in tutte le voci, i frati mezzo soddisfatti e mezzo no si partivano. Si fece finalmente giorno; venne Bernetti bagnato come un pulcino; io gli aprii, ed egli entrò contento come una pasqua. Ma eccoti una bussata - Chi è? - Amici. Era un frate. Rispondo: un momento; e presto fatto spogliare Bernetti sino ad un certo grado, per far credere che allora si vestisse, indosso il mio ferraiuolo, che per l'acqua che aveva sopra pesava dieci decine. Apro la porta; il frate entra - Come avete passata la notte Signor Bernetti? Così così - Ed io allora: per bacco! Come piove! Guardate qui, sono venuto adesso, e mi sono tutto rovinato; ed il frate poco dopo partì. Quel giorno era sabato; indovini un poco Signor Gaetano? ma già Ella lo sa meglio di me: la Domenica dopo il suo figliuolo stava pel corso in biga con mio cugino, guidando il suo cavallo
      da sé, vegeto, bello robusto, e guarito affatto da una malattia, dalla quale chi scampa soffre almeno un annetto di debolezza e convalescenza.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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