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      In avvenire vi spiegherò meglio tutto ciò; e vi metterò a parte de' miei dispiaceri, che non saranno mai per mancarmi, e delle mie consolazioni, se piacerà a Dio di mandarmene.
      Arrossisco di vergogna nell'involgere il disegno, che riceverete qui annesso, sapendo che per la forza della promessa mi gravavi il debito di unirvene un altro eseguito da me: ma se vi dico che non ho potuto farlo, non vi esagero il vero. L'incomodo sopraggiuntomi al mio ritorno costà, rinnovato per la seconda volta dalle medesime cause, mi fa ancora dolere delle sue conseguenze, fra le quali annovero quella di essere con voi comparso un bugiardo. Voi mi taccierete al solito di soverchia delicatezza; ma io così sono fabbricato, e bisogna distruggermi da' fondamenti per togliermi queste idee dal cervello. Conservo però presso di me gli elementi del lavoro promessovi, il quale vi arriverà, se non accetto, sicuro almeno ed inaspettato. Quando e come che sia, vi servirà di un richiamo per ricordarvi di me.
      Venghiamo adesso al Capitolo de' saluti, che non è di poca importanza. A Gabriele ditegli un addio santo fasone, perché non vada spacciando, che me ne sono andato così in sanitate hospite. Al Sig. Giuseppe, se fra le sue addolorate preparazioni è capace di distrazione, ricordategli in me un servitore senza livrea, così di Lui come delle sue gentili Signore. E se il Sig. Checco vi dimandasse se io mi sia ricordato di Lui, rispondetegli in falsetto: e sicuro. Col suo mezzo fatemi riverire la famosa al tresette Sig.ra Vittoria, e quell'altra Signora che tanto bene sa cantare: e zucche e zucche, e cici. Il Sig. Antonio si metta in mezzo a questo fermento di saluti e riverenze, e gliene toccherà la sua parte. Né mi scordo del paesano mio: e finalmente mi cavo la berretta davanti allo Stoico che tenete appiccato incontro al vostro scrittojo.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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