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      Questo mi chiesi all'uopo una moneta molto più forte del dritto d'impostatura: sopraggiunse lo stesso locandiere, cioè il padrone e volendo sostenere il suo garzone disse una mucchia di chiacchiere, sicché io mi ripresi indietro la lettera, e ripartii. In essa ti avvisavo del mio prospero arrivo fino a quella preziosa città. Ivi senza spogliarmi e col ferajuolo indosso andai a vedere il duomo, che è una maraviglia; varie altre chiese, e la piazza con certi palazzi. Questa occupazione unita al tempo per mangiare un boccone empiè le tre ore circa che ci trattenemmo a rifrescare, mentre le nottate furono fatte a Torrinieri e Poggibonsi. Però non potei fare alcuna visita; ed altronde seppi essere tutti in campagna.
      Da Falconieri trovai quel Cav. Gagliano con la moglie, che mi hanno detto essermi io assai cambiato di aspetto in meglio, e mi hanno dimandato nuove della Contessa Capizucchi, nella di cui casa in Albano li conobbi nel 1818. Per la via ho incontrato viaggiando un certo nano curioso appartenuto già alla Principessa di Galles, ed ora apocato da quel tale circolatore col cane giuocator di carte, aritmetico ecc. Esso viene a Roma, e forse si farà vedere venalmente. È curioso assai: piccolo forse più di baiocco, ma meglio fatto. Porta una barba lunga che lo rende piú mostruoso. Mi sono incontrato ancora con uno di que' due tedeschi assassinati presso Terracina. Sta molto malinconico, parla poco, e mangia meno.
      Se vedi Pippo, salutamelo assai assai, e digli che gli ho salvato i libri dalla dogana avendoli introdotti gratis sotto cappotto. Li consegnerò al piú presto. Salutami anche Checco Spada, e tutti di sua casa. Nel viaggio sono venuti uno dentro e l'altro in serpa due napolitani, il primo certo Cav. Giuseppe Sancio, giovine assai, che va in Francia; ed il secondo ancor giovine, ma meno, di professione chirurgo, e compagno dell'altro, da cui par mantenuto.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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