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      Giunse finalmente quel giorno, e qui, ch. Sig. Segretario, comincia il soggetto del mio attuale richiamo, col quale intendo di provare e di chiedere che l'adunanza generale del 31 dicembre 1827 sia nulla essenzialmente, e come tale se ne debbono cancellare tutti gli atti che possano esservi nati. Io mi recava dunque in quella data all'Accademia Tiberina onde assistere all'adunanza generale ordinaria dopo il solito letterario esercizio, e in quella perorare a difesa della integrità delle nostre leggi, quando mi venne saputo per via essere l'adunanza già terminata e sciolta dal Sig. Presidente, e in quel punto andarsi tenendo il letterario esercizio fra que' pochi soci che vi avevano assistito. Me ne ritornai allora indietro stringendomi nelle spalle come uomo incapace di spiegare il come e il perché quella cosa accadesse. Ma nel giorno consecutivo tutto divenne palese, quando dimandatine varii accademici, alcuni mi risposero di nulla saperne meglio di me, e altri mi favorirono la spiegazione del fatto dicendomi il Sig. Presidente avere opinato e per intimo speciale procacciato di anticipare straordinariamente alle ore 23 1/2 quell'adunanza che ordinavasi doveva tenersi dopo il solito letterario esercizio, affinché non si protraesse troppo in lungo la sera destinata a certa solennità che con pompa magnifica di parole e di atti in effetto si consumò: e mi dissero di più come terminata e sciolta quell'adunanza straordinariamente già intimata per apposito biglietto, il presidente dopo il letterario esercizio con appello verbale ai presenti ne convocasse una seconda, per darvi compimento alle cose che per difetto di numero legale fra i membri del consiglio non eransi nella prima adunanza potute completamente ordinare né definitivamente risolvere.
      Voi sapete, ch. Sig. Segretario, e con voi tutti coloro lo sanno ai quali non è occulto lo spirito delle nostre leggi né fosco il generale lume del discorso, che onde possa dirsi legale un'assemblea in cui abbiano voce tutti i domiciliati nella terra dove si aduna, a tutti quelli ne deve precedere ufficiale notifica e intimazione e ciò al giudizioso ed ovvio fine che tutti intervengano a usare lor dritto, a dire loro sentenza, e udire l'altrui, onde chiarire la materia in discussione e scambievolmente persuadere o essere persuasi.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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