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      Il figlio del dottor Micheletti è morto realmente. Questo ragazzo d'indole assai recalcitrante ripugnava a tutte le volontà paterne, e più alle di lui disposizioni intorno alla educazione. Mutati varii luoghi ne' quali era stato messo a studiare, finalmente pareva che nel Collegio di Arezzo si fosse un poco calmato.
      Ma, avvicinandosi l'epoca delle vacanze, voleva ritornare a farle a Casa. Il padre che conosceva che una volta tornato si sarebbe penato a farlo ripartire, gli lasciò libera la scelta tra il villeggiare in una bella campagna che possiede il Collegio Aretino, e tra il passare ad un ameno casino di certi Signori d'Arezzo, di lui Clienti. Udita il fanciullo tale alternativa a lui ingrata, che fa! Una sera si avvolge un panno bagnato attorno al collo e un altro in testa, e poi aperta la finestra si pone in letto per dormire. Casualmente il Rettore vide dalla sua stanza la finestra aperta del Micheletti, e recatosi nella di lui camera gliela chiusa. Il ragazzo all'udire aprir la porta si pose la testa fra i lenzuoli, e finse dormire cosicché il Superiore credette la finestra di lui esser rimasta aperta per dimenticanza e più non vi badò. Riuscito il Rettore, si rialza Micheletti e bagnati di nuovo i panni ripete il mal giuoco, ed anzi riaperta la finestra vi si sdraiò sotto sulla nuda terra, e così seminudo si addormentò. Figurati alla mattina! Fu ritrovato tutto gonfio. Interrogato ripetutamente confessò finalmente il tutto, e dopo una orribile malattia di 24 giorni spirò lunedì 2 alle ore tre pomeridiane. Il povero padre è al colmo dell'afflizione, tanto più che avendo il Collegio tardato a scrivergli fino al 15° giorno del male, ed essendo giunta la lettera mentre egli era a Città di Castello, ha saputo il caso poco prima della morte. La moglie del Micheletti partì bene subito, ma delirando sempre il figlio non l'ha potuto vedere.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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