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      Perciò non arrossisco dirvi che se mai udiste in codeste parti che alcun vostro conoscente avesse affari da affidare in Roma a chi non fosse capace di tradire la fiducia de' suoi committenti, io presterei la mia opera in assistenza di ogni discreta persona. Intendiamoci però: in qualunque vostra occorrenza voi siete il mio padrone e il mio nuovo discorso non vi riguarda. Non si può dire ciò che io sarei pronto ad operare per voi che mi avete resi sempre tanti favori.
      Amate dunque e comandate liberissimamente il vostro servitore ed a.coG. G. Belli
     
      LETTERA 274.
      A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, 28 novembre 1837
      Mio carissimo figlioRiscontro le tue due lettere del 10 e del 19 cadente, ricevute da me la prima per mezzo del Sig. Avv. Gnoli e la seconda per parte del Sig. Conte Moroni. In quella sei tornato ad assumere il pronome ella e lei. Tu sai che non mi piace. Amo che tu mi rispetti: godo però meglio che il rispetto vada unito a una moderata confidenza che riesce assai più affettuosa. Quindi il Voi mi appaga assai più; e mi parla più al cuore. Io sono tuo padre, e insieme il primo tuo amico e confidente; e il rispetto lo voglio attendere da te più nella corrispondenza dei sentimenti e nella consuonanza delle azioni che non nelle parole, sotto le quali non di rado può celarsi una fallacia tanto maggiore quanto meno apparisce. Una soverchia familiarità mi offenderebbe perché temerei che, considerandomi tu troppo alla pari, svanisse a' tuoi occhi la gravità e la importanza de' miei consigli e si perdesse così il frutto delle paterne e insieme amichevoli mie insinuazioni. Il freddo tuono altronde della civiltà di pura convenzione disgiungerebbe di soverchio i nostri animi e potrebbe all'affezione della natura sostituire i vuoti omaggi del complimento. Amami, Ciro mio, metti in pratica i miei avvertimenti, e questo è il maggior rispetto che io desidero da te.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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