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      Questa volta era superflua.
      Prima di rientrare questa mattina in casa mi sono recato a visitare la famiglia Pazzi, ed ho avuto un bellissimo dialogo collo Stortino Pietruccio, egli parlando di dentro ed io di fuori come lo spazzino di Euticchio. Le ultime parole della scena essendo state: eh, quell'omo, Mamma sta su da Ferretti, la sono andata a vedere dov'era e l'ho trovata bene: bene la figlia: bene il Peppetto. Costui, ad ogni carrozza che ode passare corre sotto le finestre gridando: ecco Papà e Gigio. La casa tua va mettendosi in sesto. Mentre io parlava con Anna Maria l'è stato ricondotto il fuggiasco figliaccio che ieri non si accostò neppure a bottega. L'ha sgridato la madre; l'ho sgridato anch'io con un vocione da pedale d'organo. Ma si predica al deserto. Quello è un mobiluccio da forca, così Iddio ne lo scampi.
      Mi sono stati recati i quaderni 21 e 22 de' benefattori dell'Umanità. Vuoi che li ritiri anche per te?
      Checco Spada, presso cui scrivo questa lettera, ebbe da me il brano di foglio dove parlavi di Lepri. Te ne darà risposta qui sotto.
      Tutti ti salutano; e tu salutami tutti, tua moglie, le tue figlie e Gigi, al quale farai un bacio per mio conto. Ti abbraccio di cuoreil tuo Belli.
     
      LETTERA 286.
      A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, lunedì 14 maggio 1838
      Mio caro Ferretti
      Tu mi hai mandato due Pattòli, due Rios de la Plata. Ma io giovedì udii all'Arcadia un altro epigramma giocoso (del medesimo fabbricatore che aveva lavorato quello sull'arte metrica) da incacarne tutti i tuoi poetici fiumi auriferi e argentiferi.
      Dopo scritta la mia di sabato 12 la lasciai a Spada affinché aggiuntovi infine quanto dovea dirti del suo, la portasse a Lopez giusta le istruzioni da te lasciatemi. Quindi passai da Lopez a prevenirlo. Ma andato Spada da Lopez colla lettera, egli risposegli che pel giorno appresso, cioè per la domenica, avrebbe mancato di occasioni.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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