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      Iddio la dilati in peso e misura di salute: amen.
      La Cristina, nostro bilunare spavento, che dice? È ella contenta dell'atmosfera di Ascanio? Le gambette sue fanno più cecca? Credo di no, e mi aspetto di trovarle domenica (domani) sulle guance due belle tinte di rosa e di ligustro. Ligustro! Mercanzia arcadica.
      La buona a casereccia Chiaruzza ha ella mandato a baboriveggioli i suoi pedicelli? Le voglio veder domenica (domani) una pelle liscia e tirata come quella di un timballo, ma strategico e non gastronomico.
      La Barborin speranza d'ôra, come disen i milanesi, si divora libri come Saturno figliuoli? Le vuo' portare i volumi di V. Tomaso, operetta istruttiva e dilettevole da passare il tempo in oneste veglie e piacevoli conversazioni. Ed eccotela fare il suo significativo sorriso, e dire a mezza bocca quel Caro. Mi sta in testa che Barbaruccia è più allegra delle altre. Quella sua viva mente si commuove ad una lieve scintilla. Buona ragazza! Ma già in casa tua chi non è buono? Io quando ci capito.
      E Gigio? E il faccione, guancione, capoccione, scapiglione? Come vanno gli amor col suo piccione? Tengo dieci dozzine di buchi belli e fatti da applicarglieli domenica (domani) attorno al collo come una collana di coralli.
      Dunque, sissignore, domenica verremo.
      Zampi e la sua Teresa,
      Belli, uom di poca spesa,
      E il teutonico Piave
      Da tenerselo caro e sotto chiave.
      Tuo fratello mi parlò dell'agosto albanese. Peccato che le tue Dame non veggano per quest'anno il lago di piazza Navona! E peggio sarà che, quando torneranno, Belli... ohé, ohé, ho sbagliato mese. Si trattava di luglio e non di agosto, Ebbé? che male c'è? Si sbaglia tanto sugli uomini, che può perdonarsi un quivico da lunario.
      Sono il tuo Belli
     
      Della tua cianca mi vengono i fumi.
     
      LETTERA 297.
      A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, giovedì 7 giugno 1838


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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