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      LETTERA 300.
      A TERESA FERRETTI - ALBANODi Roma, martedì 12 giugno 1838
      all'Angelus Domini nunciavit Mariae
      Madama e gentilissima amica
      È suonato. - Chi è? - Il giacchetto del gobbo (Tuttociò accadeva questa mattina alle 9 antimeridiane). - E cosa cerca il giacchetto del gobbo? - Porta una lettera: - Una lettera di dove? di chi? - D'Albano: di chi poi ve lo dirà il carattere della sopra-scritta. Leggo al veramente chiarissimo e, appresso a tanto chiarore il mio nome e cognome e domicilio, scritti in buona grammatica e ortografia da una penna capace di squisitissime gentilezze. Questo, dico fra me, è della Signora Teresa Ferretti. Si spezza il suggello, si spalanca la lettera, e... carissimo consorte! Diamine! Di questi farfalloni vi scappano? Presto si richiuda il foglio e si spinga al padrone. Posso accertarvi che non ne lessi più in là ritenendo che Voi, di due lettere preparate e chiuse, una per Giacomo e l'altra forse per me, aveste errato l'indirizzo, scambiando per equivoco i nomi. Ma poi il nostro Ferretti ha spiegato il busillis significandomi siccome egli stesso vi avesse commesso il dirigere la lettera a me. Ma potevate rimediarci con una sopraccarta. Diamine! Cimentare la umana curiosità e metterla a repentaglio di leggere sillaba per sillaba tutti i fatti di cosa vostra! Il mio terrore dunque di diventare un intruso contro il voto vostro e del galateo mi ha tenuto al buio dell'incomodo da Voi sofferto: sino a che, vedutici insieme Ferretti ed io presso lo Zampi (alle ore 2 pomeridiane) non mi è stato da esso il tutto narrato spiegato e comentato. Una parola, in grazia, Signora Teresina garbata. Parliamoci qui fra noi all'orecchio, sotto-voce e senza testimoni. Ci sarebbe pericolo che questa improvvisa indisposizione sia derivata da qualche diremo cipolletta od aglietto di più del solito e consueto?


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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