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      Ma abbiamo bel dire e bel fare: colle ciarle non si paga l'oste; e per solito chi più compatisce meno può consolare, siccome i più consolati son quelli che più si commuovono alle altrui sofferenze. Altronde poi, mancando di mezzi di consolazione, si dovrebbe quasi tacere per non parere spacciatori di parole che poco costano a dirsi, e meno ancora a scriversi non essendo neppur necessario in questo ultimo caso il corredo mimico e tonico di boccacce e occhiacci a sghembo e di tuoni elegiaci da picchiapetto. Tu però che da molti anni hai conoscenza del mio animo, mi presterai, spero, quella fede che pure le nude parole hanno talora merito di conseguire quando le suggerisca il cuore piuttosto che l'universale vocabolario dove è libero di pescare tanto ai sinceri quanto ai bugiardi e a' traditori. L'esperienza è sola maestra di verità, né basta la mensa e il rosario e il digiuno per conchiuderne: - costui tien religione nell'anima. Altrettanto deve dirsi degli ufici scambievoli fra l'uomo e l'uomo. Vuoi conoscere la lealtà? Chiedila al tempo.
      Non volendo ho cambiato indole alla mia lettera trapassando a comunissimi luoghi di morale. I miei discorsi si risentono dell'amarezza del mio spirito. Io, sempre malinconico, in questi giorni mi trovo anche più afflitto perché in questi medesimi giorni accadde or fa un anno l'avvenimento distruttore del mio riposo. Né lunedì 2 luglio io so vedere dove mi caccerò a sospirare. Qui nessuno m'intenderebbe. Lasciamo fare alla provvidenza che manda le brine in proporzione col fuoco da dissiparle. - Ora per dire il vero, m'accorgo d'aver proceduto ben poco delicatamente in questa sfilata di piagnistei. Invece di procurarti qualche sorriso fra le tue pene son venuto a funestarti colle mie inopportune lamentazioni da geremia. E davvero mi par d'essere un geremia.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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