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      E son Giuseppe Gioachino Belli
     
      LETTERA 330.
      A GIACOMO FERRETTI - ALBANODi Roma, mercoledì 18 luglio 1838
      (Ore 9 1/2 antimeridiane)
     
      Ieri, mio caro Ferretti, mancai di tue lettere e così tu mancasti di mie risposte. In compenso però ne ho avute due questa mattina, delle quali una appartiene al dì 16 e l'altra al 17. Pretende il Gianni del Palazzo Sinibaldi che mancassero ieri vetture, ed essere perciò arrivati questa mattina entrambi i fogli. Sia o non sia così conviene ingozzarla.
      Appena uscirò di casa porterò al Caffè solito la lettera Quadrarica. La Balestrica è già consegnata al devoto femineo sesso. Il pittore dorme ancora e sogna bei soggetti per quadri larghi e lunghi quanto Campo-vaccino. Grazie intanto per le notizie Orsoliniche e Toninesche; e salutazioni per mio conto alla madre e al figliuolo. Di' alla prima esser ieri venuto il bàlio con ottime nuove della piccola Cecilia.
      Non mi meraviglio dell'ascendente di Chiara su tutte le creature. Con quel cuore amoroso pacifico e caramente attraente. Quella sarà un giorno una Madre di Famiglia da disgradarne la Madre de' Gracchi. Sto fisso in questo presagio.
      Dove maggior grazia e più comici sali che in Molière? Di certe penne non si temperano più.
      Libri faceti faceti, come tu ti esprimi, io, Ferretti mio, non ne ho. Quando aveva quattrini da spendere in libri, io gl'impiegava in soggetti che mi procacciassero qualche cosa di meglio che una risata. Lo so, nelle circostante della tua cara Cristina ci vorrebbero facezie e buffonerie: sensazioni insomma che controbilanciassero in letizia le noie e gli affanni del presente suo stato. Come mai! Durare la piaga così pigra e stupida, né risolversi a sentire l'azione de' rimedi che vorrebbero spingerla al termine! Perché, Ferretti mio (ma forse l'hai fatto) perché non iscrivi una lettera a Pietralata o ad Albites?


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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