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      Il Pietralata si mostrò penetrato della tua circostanza, ma dicoti il vero, non mi promise con sicurezza di venire. Non ho potuto sin qui, diceva: vedrò se verso sabato, se al finire della settimana, mi riuscisse di dare una corsa ad Albano: farò il possibile e l'assicuro che porrò ogni mio studio nel disbrigarmi da molte urgenze che qui mi trattengono, onde portare al Sig. Ferretti un conforto che ardentemente m'è a cuore di procurargli. - Puoi figurarti, mio caro Ferretti, se io tentassi con ogni calore di argomenti e d'insinuazioni di corroborare le sue buone disposizioni. Ma verrà egli poi? Potrà egli venire?
      Fortunatamente però trovo nella tua lettera che tu stesso ti sei diretto ad Albites. Era il mio consiglio, il mio voto di ieri, espressoti nella mia N. 33.
      O direttamente o pel mio mezzo era bene stimolare alcuno di questi signori a soccorrerti. Ora vedremo quale successo otterranno e le tue preghiere ad Albites e le mie premure a Pietralata. Di due uno si muoverà, o venendo o scrivendo, e tu saprai come regolarti in faccenda di tanto prezioso momento.
      Lo vedo, lo comprendo, lo sento: le tue personali indisposizioni non traggono origine fuorché dalle amarezze dello spirito.
      Quando io assumendo un tuono leggiero e burlesco ti diceva parole di scherzo sull'incomodo dal quale eri afflitto, non altro scopo io m'aveva se non quello di risvegliare in te una scintilla del tuo buon umore, e così aiutarti con una mano a sollevarti per breve momento dallo stato di depressione in cui l'animo tuo veggo naturalmente caduto sotto il peso di tante sventure, tutte congiunte a vincere il tuo non comune coraggio. Oggi ti parlo sul serio e con quella gravità che sempre regna nel mio pensiere anche allorquando io lo maschero in frasi di ridente apparenza. Ti compiango, mio buon Giacomo, e sospiro per te e con te.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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