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      La pianta del Pincio non posso ancora mandartela perché non è ancora in ordine. Spada l'aveva finita, ma indovinala un po': gli si è imbrattata d'olio, e deve rifarla da capo. Egli ci usa questa attenzione gentile, e a noi non conviene una indiscreta petulanza. Ma l'avrai, non dubitare. Ogni promessa è debito: promissio boni viri est obligatio.
      Riveriscimi il Sig. Rettore al quale scrissi il 30 ottobre. Così pure presenta i miei complimenti al Sig. Presidente, ed anche al Signor Prof. Benvenuti il quale si è incomodato a venire due volte in mia casa senza mai trovarmi. Né io sapeva la sua dimora: altrimenti sarei andato da lui. I parenti e gli amici e gli antichi nostri domestici ti salutano. Tu fa' altrettanto colla Sig.ra Cangenna e co' nostri amici perugini.
      Addio, Ciro mio caro; ti abbraccio e benedico di cuore.
      Il tuo aff.mo padre.
     
      (x) Ti avvedrai che queste parole non sono un verso, benchè ne abbiano il suono ed anche in parte le quantità prosodiache.
     
      LETTERA 352.
      A CIRO BELLI - PERUGIADi Roma, 4 dicembre 1838
      Mio caro e buon Ciro
      Non prima del 2 corrente ho avuto la tua del 21 passato, alla quale oggi rispondo. È probabile che dopo qualche mese il Sig. Prof. Mezzanotte principii a prepararti almeno nella lettura del greco; e, prendendo la metafora dal gergo de' giuocatori, la sarà pure una mano avanzata. Mi rallegro molto per la tua buona salute, né della mia ho attualmente motivo di lamentarmi. Iddio vorrà, spero, conservarci l'uno per l'altro.
      Eccoti la storia della pianta del Pincio. Vedendo io che al nostro Spada mancava il tempo per rifarla dopo esserglisi macchiata d'olio la prima, né avendo io più agio di lui per occuparmene, da me stesso, ho pensato di rivolgermi all'autore del libro archeologico, nel qual libro era riportata la pianta. Il detto autore, Sig. Cav. Luigi Cardinali, mio buon amico, non ne aveva altri esemplari, ma mi ha dato il rame onde farne cavare delle stampe.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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