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      Lo so quanto la Signora Cangenna si adoperi in nostro vantaggio. Eccellente persona! Merita tutta la nostra gratitudine.
      Ciro mio caro, àbbiti i saluti di tutti, riverisci tutti, e voglimi bene. Ti abbraccio e benedico, e mi ripeto affettuosamenteIl tuo papà.
     
      Ho scritto con una fretta terribile. Non so neppure cosa io mi sia detto.
     
      LETTERA 388.
      A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S. BENEDETTODi Roma 27 maggio 1810
      Mio carissimo amicoNon ho neppur coraggio di comparirvi d'innanzi. Voi vi maraviglierete forse della mia poca gratitudine ai vostri continui favori. Non mi giudicate così, amico: piuttosto compatite al mio stato. Dall'ultima mia lettera sino a questo momento io non ho un momento cessato di pensare al piccolo servigio che avevate avuto la bontà di chiedermi, ed ho sotto gli occhi tanti e tanti scarabottoli di pensieri abbozzati, coi quali cominciare almeno un lavoro che mi sarebbe stato sì caro di compiere. La mia testa però non vuol darmi tregua; e appena io faccio qualche sforzo per obbligarla a meditare, arrivo al punto che mi sembra di impazzire. Sento come un peso che mi si aggravi dolorosamente sulla sommità del capo, e uno stringimento straziante alle tempie. D'altra parte il genere faticoso di vita che mi convien menare per portare innanzi la vita di mio figlio e la mia (che mi è necessaria per lui) non contribuisce poco a peggiorare la mia cerebrale infermità, dalla quale sono a loro volta resi più gravi i miei giornalieri travagli. Nel giorno 17 mi fu fatta una sanguigna emorroidale e datami lusinga che ne avrei ricavato gran giovamento. Nulla, anzi peggio. Poi vescicanti; ed oggi vi scrivo con una di queste gentilezze dietro il collo, la quale non fa che aggiungermi tormento a tormento. Le mie facoltà mentali vanno ogni giorno più languendo; e la memoria, la memoria poi è giunta a tale scadimento che parlo con molto disordine e gran difficoltà, provando gran pena nel rammentarmi non solo delle cose, ma ancora delle parole relative a ciò che voglio significare.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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