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      Jeri, giorno genetliaco del nostro buon Sovrano e pontefice, invece della solita tregenda, furon mazzolini di fiori lanciati in aria da varie migliaia di persone sulla grande piazza del Quirinale sotto gli occhi del Santo monarca, dopoché, tornato appena dalla ecclesiastica funzione del Laterano, ebbe ripetuta dal balcone del suo palazzo una benedizione, direi casereccia, all'affollato popolo che lo attendeva per augurargli lunga e prospera vita. Sua Santità era commossa, né meno commossa la moltitudine, che la ama di vero cuore e quanto Essa merita.
      Di Mons. Tizzani nulla può dirsi. Né si parla di transeazione, né si è scoperto l'autore dell'indegno libello.
      I giornali e le opinioni fan guerra fra loro. Hic et nunc ha miglior giudizio chi meno si lascia andare alle dispute.
      Come va la mia salute? La testa mi duole più che prima, e il dolore va accompagnato da stordimento fastidiosissimo. Dimani sera mi farò fare, per cenno medico, una sanguigna emorroidale. Eppoi? Eppoi Dio lo sa.
      Ciro ti saluta e ti abbraccia, come ti abbraccio io.
      Tuo aff.mo a.coe quasi parente
      G. G. Belli
     
      N.B. Ho potuto raccapezzare un esemplaruccio del librettuccio de' miei versettucci inediti. Te lo darò per unirlo alla cartaccia del primo volume.
     
      LETTERA 495.
      A CIRO BELLI - ROMADi Terni, mercoledì 2 giugno 1847
      Ciro mio caroPrima ancora di ricevere la tua di jeri io andava già ruminando nella mia testa il pensiero di scriverti intorno alla difficoltà ed alla angustia di tempo che tu, occupato per tutta la mattina, devi sperimentare volendo rispondere alle mie lettere nella giornata stessa in cui ti pervengono. Tornare a casa in fretta, leggere il mio foglio, riscontrarlo, e poi correr via per impostar la risposta, e tuttociò nel breve giro di mezz'ora, o poco più, per trovarti in tempo al momento del desinare, la è faccenda che non può da me permettersi né bramarsi.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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