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      Roma, 27 aprile 1849.
      Gius. Gioachino Belli
     
      N.B. Venerdì 27 aprile 1849 portai io med.o l'orig.le della p.nte memoria al Comando generale civico, sulla piazza della Pilotta, lasciandolo nelle mani di un impiegato di nome Sig. Dubois, a cui fui presentato dal Sig. Filo Gerardi mio amico, ed uno degl'impiegati superiori del med.o Dicastero.
      Il Sig. Dubois, col quale a lungo parlai, mi rispose che il motivo da me esposto era giustissimo: stessi quindi quieto, e sarebbe differito l'esame di Ciro a 10 o 15 giorni.
      Partecipai subito tuttociò al Sig. Gennari quartier-mastro del Battaglione 8°, e ne prevenni anche il Camminatore del battaglione, onde a suo tempo mi porti il nuovo intimo qualche giorno prima della sessione.
     
      LETTERA 527.
      TESTAMENTO
     
      Commetto io sottoscritto ed impongo al dilettissimo mio figlio Ciro che qualora per divina disposizione mi accadesse di morire senza potergli verbalmente comunicare le mie estreme intenzioni, arda egli e distrugga dopo la mia morte tutte le carte esistenti in questa cassetta e contenenti i miei versi in vernacolo e stile romanesco, da me condannati indistintamente al fuoco affinché non sian dal mondo mai conosciuti, siccome sparsi di massime, pensieri e parole riprovevoli.
      Che se mio figlio (così al cielo non piaccia) mancasse anch'egli di vita prima di avere avuto agio di dare esecuzione a quel mio comando, prego caldamente chiunque altri, alle cui mani capitassero i detti miei manoscritti, di eseguire la stessa mia volontà, protestando io in caso contrario innanzi a Dio delle conseguenze di scandalo che fossero per derivare fra gli uomini dall'inadempimento del cristiano mio desiderio.
      Dichiaro finalmente che quella qualunque porzione de' ripetuti miei versi che per avventura sia di già conosciuta ed abbia in qualsivoglia guisa potuto circolare di voce in voce e di scritto in iscritto, viene da me ripudiata per mia opera, sia perché realmente (per quanto è a mia notizia) va difforme da' miei originali, e perché al postutto io nego di più riconoscere lavori da me fatti per solo capriccio e in tempi di mente sregolata, i quali si oppongono agl'intimi e veraci sentimenti dell'animo mio.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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