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      La seconda lettera, che portò qui a casa Ciro ieri a sera, era tua, diretta a me, colla data dello stesso giorno di ieri. Trapelano facilmente da essa le inquietudini da cui sei agitata, e le quali per conseguenza non possono non agitare anche me che più viva brama non ho che quella della tua quiete. Ma come si fa? Alcune cose che nelle tue lettere vai desiderando di sapere ti son ritardate per la non rara irregolarità de' veicoli della nostra corrispondenza, tantoché spesso ti è stato già da noi detto ciò che ci sentiamo poi dimandare. Perché questo? Perché se le lettere ci fossero tutte ricapitate (tanto a te quanto a noi) nei giusti giorni e nelle esatte ore de' loro arrivi, non accadrebbero le richieste mentre già sono in viaggio le soddisfazioni di esse. Tuttociò in genere.
      In ispecie poi, parlando più particolarmente della tua ultima di ieri, ti lagni che nessuno di noi due ti abbia fatto sapere se ci sia o no in Roma il cholera. Io ignoro ciò che Ciro abbiati detto su questo particolare nei quattro giorni che si trattenne costì con te; ma, in quanto a notizie epistolari, io stesso ho letto la lettera in cui Ciro ti diceva: il cholera è mitissimo, ed a ciò rispondesti tu stessa. Di più io ti ho scritto che le cose qui andavan tranquille. Io intendeva parlare di cose sanitarie; ma se non ho parlato più chiaro, oggi me ne dispiace, e te ne chiedo scusa vedendoti agitata. Insomma il cholera è veramente mitissimo, almeno sino ad ora; ma pure è già un mese dacché si sviluppò, e nel 1837 dopo un mese già era uno sperpero. In una delle lettere da me incluse nel canestro, che deve averti ieri consegnato la donna, ti detti perfino un cenno del bollettino sanitario che si cominciò qui ad inserire nel giornale sin dal 16 corrente. Lì avrai veduto la scarsezza dei casi proporzionalmente a una Città come è Roma.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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