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      Lo udir qualche cristiano prataiuoloMal nel Credo scevrar voce da voce;
     
      Ché talun dopo il Cristo suo figliuoloL'unico ve lo appicca al Signor nostro
      Quasi tal signoria fosse in lui solo.
     
      Voi ci avete benissimo dimostroChe diciam, sì dicendo, una biastema
      Qual la potrebbe dir Giuda o Cagliostro.
     
      Rifacciamoci adesso al nostro temaDonde n'ha disviati questa cosa,
      In che fui spinto da un'urgenza estrema;
     
      Perché i versi non son come la prosa:
      Qui potete vagar dove vi piace,
      Là vi smarrite in una selva ombrosa.
     
      Né un poeta par mio sempre è capaceDi tener sodo a soggiogar le rime
      Per filar dritto e camminare in pace.
     
      Io dunque vi diceva in sulle primeChe fattovi Compar del mio nipote
      Mi vi legaste d'un novello vime.
     
      Come springava con ambo le pioteQuel farinello allor che sotto l'acque
      Lo sporgevate innanzi al sacerdote!
     
      Parea capir che venturoso nacque;
      Né certo fu per lui picciola sorteSe d'essergli padrin non vi dispiacque.
     
      Lasciamo stare i ninnoli e le torteE le treggee che gli darete in vita:
      Penso a quel più che gli darete in morte.
     
      Cristina è furba, e l'ha perciò capitaChe il lascerete erede universale
      Del libro dell'entrata e dell'uscita.
     
      Tutti fannovi un grasso capitale,
      Non contandoci pur tanti ambi e terniChe ne tenete in corpo un arsenale.
     
      Ne stivate in fascicoli e in quaderni,
      E ad ogni estrazïon n'esce qualcunoDa far tremare le viscere ai governi.
     
      E so che voi non li date a nessuno:
      Figuratevi mo' se il vostro eredeSarà mai per combatter col digiuno!
     
      Havvi un guaio però, che il mondo credeChe presto-presto voi prendiate moglie
      Per metter la Comare in mala-fede.
     
      Non lo fate, ser Cecco, o ve ne incoglieQualche serqua di croci e di malanni:
      V'è scorso il tempo da coteste voglie.
     
      Non la toglieste ne' vostri begli anni,
      E vorrestela mo negli anni bruttiPer accoppiar coi nostri i vostri danni?
     
      Voi della vita vi appressate ai frutti:


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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