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      ALLA CITTADINANZA ROMANASignori romani
      Se non è un giorno è l'altro, vado io ricevendo complimenti e congratulazioni per colpa di certi eruditi e spiritosi articoletti che di tempo in tempo si trovano stampati presso gli annunzî giudiziari nel nostro Diario o fra le notizie del giorno, sotto il titolo di Case abitate etc. E se io dissi per colpa non crediate che la sia una espressione temeraria o usata alla cieca: Signori no: è proprio la parola che ci voleva, è addirittura la pietra all'anello, perché il dispensare a un uomo elogi dovuti ad un altro non può chiamarsi buona giustizia. Di simil gloria io mi sono per verità sempre schermito, ma vedendo alfine che la faccenda va in lungo, e chi sa quali zizanie potrebbe un giorno seminare fra i biografi de' secoli futuri, mi credo in coscienza obbligato ad una pubblica e solenne dichiarazione affinché la cosa non prenda vizio, e fra l'autore di questi articoletti e me si ristabilisca al netto l'unicuique suum. Tutto l'imbroglio è nato fra noi da error di persone, per quel benedetto nome di Belli che portiamo entrambi. Ma non per questo noi siamo un unum et idem, che anzi neppure apparteniamo ad un medesimo albero, ad una medesima progenie. L'autore degli articoletti fa razza a parte. Forse discendiamo ab antiquo da un ceppo solo, ma oggi, a buon conto, passa da lui a me tanta differenza quanta un giorno dai Bianchi ai Neri, dai Lambertazzi ai Geremei. Eppoi egli è cavaliere e dotto medico chirurgo, ed io un omiccino nudo e crudo senza addosso né privilegio di alloro, né fregio di nastro: egli sa di antiquaria, ed io non ho potuto ancor capire che cosa sia la Greco stasi né il Templum-pacis né il Truti della statua di Todi, né l'Apparet di Vergilio Eurisace, cose più chiare che non la luce delle candele steariche: egli conosce le case di tutti i morti ed io non so nemmeno quai vivi mi abitino incontro: egli ha scritto sul Sal cibario ed ha condito quel suo sale con (cento) altri saletti (di sua fabbrica privativa) ed io, se (talor) mi scappa una lepidezza, fo, come si dice, calar il latte alle ginocchia.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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