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      Una sola di queste classi di genti viene a cercar me e mi trova, e se non muoio mi troverà sempre.
      La mia salute insomma è assai trista. Sono tornato alle vecchie infiammazioni, e ci si aggiungono frequenti accessi di furore, e, diciamolo pure perché è vero, di quasi aberrazione di mente. In alcuni giorni temo d'impazzire; e chi sa?...
      Io vi ringrazio, ringrazio il buon Pirro, la Matildina, e tutti, delle vostre amorevolezze. Non vi date pena. Forse la falce rispetterà la felce. Ebbene? Tanti condannati vogliono il lor bicchiere di vino prima della corda che li strangoli. Io dico un calembourg [sic]. Che male c'è?
      Oh, ecco una lettera troppo lunga per le mie forze abbattute e pel mio povero tempo. Vi assicuro che non ve ne scriverò più così presto, perché anche volendo e potendo, ché pure vorrei ma non posso, corro rischio di scordarmene. Ditemi una requiem aeternam, che non si sprecherà mai. Sarà per quando sarà: nunc pro tunc, come dicono i buoni curiali. Anzi, fatemi il piacere, non mi scrivete neppur voi. A cose fatte chi resta raccoglie le bucce. Non so, mi chiamerete ingrato, ma se volete da me lettere frequenti potete vedere anche una promessa delusa. Ci cercheremo passato l'uragano.
      I Cristofori gli ho incontrati recentemente. Pure, siccome adesso chi sente battere un'ora non è sicuro di udir l'altra seguente, manderò ad informarmi di loro, e in vostro nome. Se la risposta arriva prima che parta il corriere ve la metto qui abbasso.
      Siamo tutti imbussolati: si aspetta di momento in momento a chi tocca il numero.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





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